giovedì 28 agosto 2014

Un articolo di Marco Rossi Doria da "La Stampa"

Cosa si chiede a una scuola moderna 

di Marco ROSSI DORIA


Il premier fa molto bene a ripetere che il futuro dell’Italia è determinato dal futuro delle nostre scuole. Si vedrà quel che sarà fatto, a partire dal prossimo Consiglio dei ministri. Ma, intanto, una cosa è certa: sono finiti gli anni cupi del disinvestimento in istruzione, nei quali la nostra scuola veniva considerata una zavorra anziché il più importante degli investimenti.

Ma quale scuola serve per il futuro?

Per rispondere è davvero importante partire dai ragazzi. E dal migliore lavoro dei docenti. E da come le due principali risorse della scuola hanno saputo rispondere al lungo stallo italiano e poi alla crisi. Chi frequenta i ragazzi e osserva come crescono e imparano e ne ascolta i sogni e le aspirazioni, vede bene che viviamo una vera crisi educativa dovuta al frequente prevalere, nelle famiglie e altrove, della protezione rispetto alla promozione, alla diffusione di modelli adulti fragili e, poi, alla percezione, presso tanti giovani, che le posizioni di rendita nel loro Paese prevalgono sul merito e che l’impegno può essere vanificato. Ma vede anche che i ragazzi sanno apprezzare modelli adulti solidi se disponibili a un incontro autentico tra generazioni, che sia senza abbandoni né confusioni. Chiedono ascolto e riconoscimento. Ma accettano regole e limiti se sono giusti e chiari. Vogliono essere valutati senza finzioni e, se ciò accade, sono disposti a riconoscere le proprie debolezze e cambiare.

A scuola come altrove i ragazzi imparano a impegnarsi quando sono partecipi di una comunità sana, capace di routine, rito, scoperta, reciprocità, riparazione. E chi fa buona scuola vede che, se le conoscenze di base vengono consolidate presto e bene, i ragazzi sono tanto più capaci di imparare quanto più il percorso di apprendimento, anche complesso, sa misurarsi con il creare, organizzare, esplorare con molti diversi media, nuovi e anche tradizionali, unendo mente e mani, ricerca, studio e azione. Ogni volta che ciò accade, viene riconosciuta la guida dei docenti, si impara di più e meglio, si cercano nuovi traguardi di conoscenza. Se i ragazzi sono ben guidati, fanno bilanci onesti di ciò che sanno o devono ancora imparare. E’ commovente vedere quanto sono contenti i nostri figli e nipoti quando – dalla scuola dell’infanzia fino al dottorato di ricerca – hanno superato delle prove a scuola accompagnati da insegnanti dediti e capaci.

Così, è importante vedere come tanti ragazzi sanno molte cose, imparandole a scuola e – va detto – anche fuori da scuola, nel volontariato, nello sport o con la musica, con gli amici, viaggiando, in famiglia, in esperienze di stage e lavoro; e come tutto questo diviene sapere se la scuola sa favorire l’intreccio tra quel che s’impara fuori e dentro. E’ altrettanto importante notare come i ragazzi che non hanno finito neanche le scuole superiori – sono stati quasi 3 milioni negli ultimi 15 anni, una perdita paurosa per l’Italia – appena diventati adulti spesso richiedono di tornare ad imparare e di avere, però, il pieno riconoscimento di quanto hanno appreso nell’apprendistato, nel lavoro e nella vita.

Vi è una grande «capacità ad aspirare» dei nostri ragazzi, che non vedono l’ora di uscire dal parcheggio dell’attesa. Ben più che in passato. Intorno a noi stanno, infatti, crescendo modi nuovi di mettersi in gioco appena usciti dagli studi: nelle imprese che uniscono ambiente, beni culturali, agricoltura, nuove tecnologie, nelle molte forme di auto-impiego spesso inventato tra coetanei, dove prevalgono le reti e i legami cooperativi rispetto alla tradizionale competizione, nei nuovissimi modi della produzione industriale e nel making, nei servizi in costante trasformazione, nell’insistenza nell’unire ricerca e lavoro, gratuità d’impegno e conquista di reddito e indipendenza, nonostante tutto.

E’ dalla generazione successiva alla seconda guerra mondiale che non si vede un movimento simile. E sono le avversità dell’Italia immobile da troppo tempo e poi colpita dalla lunga crisi – vissute sulla propria pelle da questi ragazzi – a produrre, paradossalmente, il movimento e la speranza sulla quale creare una nuova scuola.

Così, i caratteri di questa nuova scuola – da troppo tempo attesa e rimandata – appaiono via via più chiari. Gli edifici scolastici devono essere sicuri, con spazi aperti all’interno e verso fuori e attrezzati per favorire ogni tipo di laboratorio con molti diversi media. Va rafforzata la scuola della prima infanzia e il suo decisivo ruolo di dialogo con i genitori sui comuni compiti educativi. La scuola di base deve sempre più garantire a tutti un apprendimento precoce rigoroso. Le scuole superiori devono sapere unire studio e laboratorio a scuola con apprendimento pensato fuori, nelle città, in mezzo al nostro straordinario patrimonio culturale e naturale, frequentando i posti del produrre, ricercare, fare. Va strutturato il sistema di conoscenze e competenze richieste per livelli, raggiungibili a scuola o anche dopo la fine della scuola senza dover per forza bocciare ma facendo rigorosi bilanci di competenze che attestano ciò che sai e ciò che devi apprendere per poter accedere ai percorsi successivi.

Le scuole devono avere più autonomia per dare stabilità e dignità sociale ai docenti, organizzare meglio un lavoro complesso e sempre meno standardizzato, capace di sostenere davvero le parti deboli, le inclinazioni e la scoperta delle parti sconosciute di ogni ragazzo. Va sostenuta la capacità dei gruppi docenti di gestire la relazione educativa, trasformare la didattica, promuovere comunità, sostenere le fragilità, dialogare tra scuola e altri luoghi dell’apprendere e famiglie, riconquistare alla scuola chi ne cade fuori. Per i luoghi della dispersione scolastica di massa va creata una forte regia nazionale. Va sostenuto e pagato il tempo di preparazione, formazione e riflessione dei gruppi docenti. La valutazione partecipata di tutto il sistema d’istruzione va estesa e migliorata.

Se l’Italia saprà avviarsi presto su questa strada, ci sarà molto lavoro da fare ma la sfida potrà essere vinta.

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