Cosa si chiede a una scuola moderna
di Marco ROSSI DORIA
Ma quale scuola serve per il futuro?
Per rispondere è davvero importante partire dai ragazzi. E dal migliore lavoro dei docenti. E da come le due principali risorse della scuola hanno saputo rispondere al lungo stallo italiano e poi alla crisi. Chi frequenta i ragazzi e osserva come crescono e imparano e ne ascolta i sogni e le aspirazioni, vede bene che viviamo una vera crisi educativa dovuta al frequente prevalere, nelle famiglie e altrove, della protezione rispetto alla promozione, alla diffusione di modelli adulti fragili e, poi, alla percezione, presso tanti giovani, che le posizioni di rendita nel loro Paese prevalgono sul merito e che l’impegno può essere vanificato. Ma vede anche che i ragazzi sanno apprezzare modelli adulti solidi se disponibili a un incontro autentico tra generazioni, che sia senza abbandoni né confusioni. Chiedono ascolto e riconoscimento. Ma accettano regole e limiti se sono giusti e chiari. Vogliono essere valutati senza finzioni e, se ciò accade, sono disposti a riconoscere le proprie debolezze e cambiare.
A scuola come altrove i ragazzi imparano a impegnarsi quando sono partecipi di una comunità sana, capace di routine, rito, scoperta, reciprocità, riparazione. E chi fa buona scuola vede che, se le conoscenze di base vengono consolidate presto e bene, i ragazzi sono tanto più capaci di imparare quanto più il percorso di apprendimento, anche complesso, sa misurarsi con il creare, organizzare, esplorare con molti diversi media, nuovi e anche tradizionali, unendo mente e mani, ricerca, studio e azione. Ogni volta che ciò accade, viene riconosciuta la guida dei docenti, si impara di più e meglio, si cercano nuovi traguardi di conoscenza. Se i ragazzi sono ben guidati, fanno bilanci onesti di ciò che sanno o devono ancora imparare. E’ commovente vedere quanto sono contenti i nostri figli e nipoti quando – dalla scuola dell’infanzia fino al dottorato di ricerca – hanno superato delle prove a scuola accompagnati da insegnanti dediti e capaci.
Così, è importante vedere come tanti ragazzi sanno molte cose, imparandole a scuola e – va detto – anche fuori da scuola, nel volontariato, nello sport o con la musica, con gli amici, viaggiando, in famiglia, in esperienze di stage e lavoro; e come tutto questo diviene sapere se la scuola sa favorire l’intreccio tra quel che s’impara fuori e dentro. E’ altrettanto importante notare come i ragazzi che non hanno finito neanche le scuole superiori – sono stati quasi 3 milioni negli ultimi 15 anni, una perdita paurosa per l’Italia – appena diventati adulti spesso richiedono di tornare ad imparare e di avere, però, il pieno riconoscimento di quanto hanno appreso nell’apprendistato, nel lavoro e nella vita.
Vi è una grande «capacità ad aspirare» dei nostri ragazzi, che non vedono l’ora di uscire dal parcheggio dell’attesa. Ben più che in passato. Intorno a noi stanno, infatti, crescendo modi nuovi di mettersi in gioco appena usciti dagli studi: nelle imprese che uniscono ambiente, beni culturali, agricoltura, nuove tecnologie, nelle molte forme di auto-impiego spesso inventato tra coetanei, dove prevalgono le reti e i legami cooperativi rispetto alla tradizionale competizione, nei nuovissimi modi della produzione industriale e nel making, nei servizi in costante trasformazione, nell’insistenza nell’unire ricerca e lavoro, gratuità d’impegno e conquista di reddito e indipendenza, nonostante tutto.
E’ dalla generazione successiva alla seconda guerra mondiale che non si vede un movimento simile. E sono le avversità dell’Italia immobile da troppo tempo e poi colpita dalla lunga crisi – vissute sulla propria pelle da questi ragazzi – a produrre, paradossalmente, il movimento e la speranza sulla quale creare una nuova scuola.
Così, i caratteri di questa nuova scuola – da troppo tempo attesa e rimandata – appaiono via via più chiari. Gli edifici scolastici devono essere sicuri, con spazi aperti all’interno e verso fuori e attrezzati per favorire ogni tipo di laboratorio con molti diversi media. Va rafforzata la scuola della prima infanzia e il suo decisivo ruolo di dialogo con i genitori sui comuni compiti educativi. La scuola di base deve sempre più garantire a tutti un apprendimento precoce rigoroso. Le scuole superiori devono sapere unire studio e laboratorio a scuola con apprendimento pensato fuori, nelle città, in mezzo al nostro straordinario patrimonio culturale e naturale, frequentando i posti del produrre, ricercare, fare. Va strutturato il sistema di conoscenze e competenze richieste per livelli, raggiungibili a scuola o anche dopo la fine della scuola senza dover per forza bocciare ma facendo rigorosi bilanci di competenze che attestano ciò che sai e ciò che devi apprendere per poter accedere ai percorsi successivi.
Le scuole devono avere più autonomia per dare stabilità e dignità sociale ai docenti, organizzare meglio un lavoro complesso e sempre meno standardizzato, capace di sostenere davvero le parti deboli, le inclinazioni e la scoperta delle parti sconosciute di ogni ragazzo. Va sostenuta la capacità dei gruppi docenti di gestire la relazione educativa, trasformare la didattica, promuovere comunità, sostenere le fragilità, dialogare tra scuola e altri luoghi dell’apprendere e famiglie, riconquistare alla scuola chi ne cade fuori. Per i luoghi della dispersione scolastica di massa va creata una forte regia nazionale. Va sostenuto e pagato il tempo di preparazione, formazione e riflessione dei gruppi docenti. La valutazione partecipata di tutto il sistema d’istruzione va estesa e migliorata.
Se l’Italia saprà avviarsi presto su questa strada, ci sarà molto lavoro da fare ma la sfida potrà essere vinta.
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